Mercato Pinciano
Insieme al mercato Metronio e a quello Trieste (via Chiana), il mercato Pinciano, mercato coperto di via Antonelli, ha portato avanti una battaglia che nell'aprile 2013 ha fatto ritirare una delibera che metteva a rischio la sopravvivenza delle tre strutture per destinare lo spazio ad altro uso. Proprio all'indomani di questa buona notizia lo abbiamo visitato.
Tra i banchi del mercato
Il mercato coperto di via Antonelli è una costruzione che risale al 1957, come abbiamo avuto modo di verificare con la signora Adua (detta Ada), detentrice della licenza più antica che ha ereditato da sua madre Rosa. Tra la biancheria per signora e quella per la casa, tiene infatti i documenti originali che testimoniano il passaggio di testimone familiare di tre generazioni di donne, tenendo in considerazione anche Laura, sua figlia. Che ci racconta: “Nonna aveva il banco di merceria già prima della guerra, poi per un certo periodo fu costretta a chiuderlo per via delle leggi razziali, visto che la nostra è una famiglia ebraica. Poi dopo la guerra le restituirono la licenza e lei ricominciò a lavorare. Prima il mercato era per strada in via Tacchini e in un altro periodo in via Antonelli”. “Poi nel '57 si trasferirono al chiuso” le fa eco la madre mostrandoci la lettera con cui la signora Rosa scriveva al sindaco per avere il permesso di “fare la stigliatura al bochs”, ovvero mettere tutta l'attrezzatura occorrente nello spazio a lei destinato.
E a proposito di questi famigerati “bochs” è Gemì a raccontarci: “Io ci sono entrato nel '62 ed eravamo come scimpanzé in gabbia, ogni attività era chiusa dentro una gabbietta poi mano a mano che ci lamentavamo e le toglievamo a nostre spese gli scimpanzé sono stati liberati”. Gemì, un nome curioso nato dalla volontà del padre di fare un omaggio ad un amico americano di nome Jim, insieme alla moglie Maria, gestisce uno dei banchi di frutta e verdura più interessanti del mercato.
Fare la spesa da loro è divertente perché l'umorismo di Gemì è contagioso e perché mentre il cliente sceglie cosa mettere nelle buste lui gli sbuccia un'arancia “da assaggiare assolutamente”, rompe una noce “senta che dolce” e poi fa scivolare nelle buste una serie di “omaggi”, non i soliti odori (anche quelli), ma un paio di limoni, due cipolle bianche, “queste meline brutte ma buonissime, gliele regalo”.
La signora Maria invece ci tiene a sottolineare l'importanza della battaglia appena vinta: “C'è poco lavoro per i giovani e a quelli che ce l'hanno glielo vogliono togliere. Questo è un mercato con tanti giovani che non hanno trovato altri lavori e allora hanno rilevato l'attività dei genitori”.
E in effetti al banco dei fiori c'è Flavio che oltre di fiori recisi e piante si occupa anche di giardini, terrazzi e potature; c'è Davide con il suo negozietto dedicato agli animali, gatti e cani in particolare, che accanto ai mangimi propone una serie di oggetti (“ma in questo quartiere sono esigenti anche la copertina del cane la vogliono firmata”); e Francesca con il suo laboratorio di tappezzeria.
Il paese di Alice
“Io ho una nonna, nonna Giuliana. Credo di avervi già parlato di lei. La mia nonna Giuliana ha una passione per i fiori. E' bravissima conosce tutti i nomi e le piante che tiene sul balcone sono sempre molto belle. La mamma dice che ha il “pollice verde” e a me c'è voluto un po' per capire che non si era sporcata le mani di erba!
Mia nonna Giuliana ha anche un bellissimo giardino con fiori di tutti i tipi, ma il giardino sta in una casa lontana dove può andare solo ogni tanto. Così, quando possiamo, per non farle venire la nostalgia dei suoi fiori noi gliene regaliamo qualcuno. Quando sono stata con mamma e papà al mercato Pinciano abbiamo comprato un mazzo di fiori a nonna Giuliana. Erano molto belli, ma la cosa più curiosa era il nome. Si chiamavano “ornitogalli”. Subito quando il fioraio l'ha detto alla mamma ho pensato si trattasse di uno scherzo e stavo per fare “chicchirichì”. Invece poi ho scoperto che è proprio il nome di quel fiorellino tanto bello che chiuso sembra proprio la cresta di un galletto. Non vi nascondo che a mia nonna Giuliana sono piaciuti molto”.
Quattro passi più in là
Il mercato di via Antonelli si trova nel cuore dei Parioli, quartiere chic della capitale che si è sviluppato negli anni '20 per ospitare la nuova classe dirigente del paese, quella dei gerarchi del regime fascista, e si è completato negli anni '50, quando vi si è stabilita l'alta borghesia capitolina. Passeggiare tra le sue strade (via Archimede, via di San Valentino, via Oriani) significa imbattersi in alcuni dei più interessanti edifici del primo e del secondo dopoguerra, tra eleganti palazzine liberty e sperimentazioni razionaliste. Ma visto che siamo usciti dal mercato con in mano un bel mazzo di fiori, vi suggeriamo di non mancare la CASA DEL GIRASOLE, in viale Bruno Buozzi. E' opera di Luigi Moretti, uno dei più influenti architetti e urbanisti del fascismo (c'è la sua mano nel complesso del Foro Italico e nella progettazione dell'EUR). La casa “del Girasole” risale però agli anni '50, quando – dopo un breve soggiorno in carcere per collaborazionismo con il regime – Moretti tornò a sperimentare nuove soluzioni che gli valsero la fama di postmoderno ante litteram. Con le sue linee irregolari, le asimmetrie che assecondano la pendenza del terreno, i giochi di luce che movimentano la facciata, la palazzina al civico 64 del viale è sicuramente una delle sue opere più interessanti. Se dovessimo invece citare la più famosa (ma non certo per l'architettura), dovremmo volare in un'altra capitale, dall'altra parte dell'oceano: stiamo parlando del Watergate di Washington, il complesso residenziale dove si consumò lo scandalo che costò la presidenza degli Stati Uniti a Richard Nixon.
Tornando alle nostre storie, e al nostro quartiere, da viale Bruno Buozzi vi consigliamo di risalire lungo via dei Monti Parioli e inoltrarvi in via Ammannati, dove un cancello aperto vi introdurrà nella VILLA BALESTRA. Del parco originario, ormai smembrato (basti pensare che l'antico portale oggi dà il benvenuto ai visitatori del Giardino degli Aranci, sull'Aventino!), resta un giardino pubblico ideale per una sosta rigenerante. E' un vero e proprio “salotto verde”, con un gazebo-bar, un'area giochi attrezzata per i bambini piccoli e – per gli amanti del basket – uno dei più suggestivi playground della città: non capita tutti giorni di tirare a canestro avendo come sfondo la cupola di San Pietro! Il panorama che si gode da villa Balestra racconta al meglio la natura del quartiere Parioli, sorto su una collina di tufo anticamente intitolata a San Valentino.
Ma il riferimento al patrono degli innamorati ci porta a indagare sulla seconda, più segreta anima dei Parioli: quella sotterranea. Se oggi i suoi abitanti passeggiano tra i negozi eleganti che ne caratterizzano la superficie, anticamente anche le viscere dei monti Parioli – con i loro cunicoli e le grotte scavate nel tufo - brulicavano di vita. Ne sono testimonianza le catacombe di San Valentino, oggi in viale Maresciallo Pilsudski, dove si crede furono deposte le spoglie del martire, e quelle di Sant'Ermete, in via Bartoloni, dove è custodita la più antica immagine di San Benedetto di cui si abbia conoscenza. Ma i sotterranei dei Parioli non erano consacrati soltanto al culto dei primi cristiani. Altri riti – ben più sinistri - avevano luogo tra le sue gallerie, come testimonia la recente scoperta, duranti gli scavi per un parcheggio in piazza Euclide, della FONTE DI ANNA PERENNA. Al di là del valore archeologico della fontana, databile intorno al IV secolo a.C., sono gli oggetti rinvenuti nei suoi pressi a farne un ritrovamento sensazionale. Soprattutto per gli amanti della magia nera. Ma andiamo con ordine: Anna Perenna era una divinità di probabile origine etrusca legata alla terra, all'acqua, alla fertilità, all'abbondanza. I romani la festeggiavano nel giorno delle Idi di marzo con una scampagnata nel bosco sacro a lei dedicato sulla via Flaminia, dove si lasciavano andare a colossali bevute, balli sfrenati e sesso libero. Ma oltre a raccomandarsi ai buoni uffici della dea, i convenuti le affidavano anche il compito di lanciare il malocchio ai propri avversari. Così si spiegano le vere e proprie “bamboline voodoo” perfettamente conservate a testa in giù in 14 piccoli involucri di piombo sigillati, e le 22 lamine con incise dettagliate e ben mirate maledizioni. Esempi? Uno per tutti, di incredibile attualità, quasi fosse stato trascritto in diretta nella curva di uno stadio durante l'ultima partita di campionato. E' infatti indirizzato a un arbitro di nome Sura, definito senza mezzi termini “natus de vulva maledicta”, al quale il committente del malocchio augura che vengano “strappati l'occhio destro e quello sinistro”. Il tutto in lettere sbalzate, corredate da minacciosi serpenti.
DOVE |
via Antonelli |
GIORNI DI APERTURA | Lunedì - Sabato |
ORARIO | 7:00 - 14:00 |
PARCHEGGIO | a pagamento |
AUTOBUS | dalla stazione Termini, Linea 910 |